Musicoterapia e Demenze

“…Ma per quanti sono persi nella demenza la musica per loro non è un lusso, ma una necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi altra cosa nel restituirli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri”
Oliver Sacks, neurologo e scrittore.

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L’elemento sonoro-musicale è qualcosa che accompagna l’essere umano da sempre, ancor prima della comparsa del linguaggio. Lo psicologo Sloboda (1988, pp. 23-26) afferma che “il motivo per cui la maggior parte di noi prende parte ad attività musicali, componendo, eseguendo o semplicemente ascoltando, è dato dal fatto che la musica è capace di suscitare in noi stessi delle emozioni profonde e significative e che tali esperienze musicali possano fornire sollievo dalla monotonia, dalla noia e dalla depressione”. Se per la maggior parte di noi l’ascolto musicale costituisce solo un’ esperienza emotiva gratificante, per il paziente demente rappresenta anche uno strumento privilegiato per mantenere vivo il proprio “sè”.

Musicoterapia e Demenze
di Alessandra Massari

“…Ma per quanti sono persi nella demenza la musica per loro non è un lusso, ma una necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi altra cosa nel restituirli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri”
Oliver Sacks, neurologo e scrittore.

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L’elemento sonoro-musicale è qualcosa che accompagna l’essere umano da sempre, ancor prima della comparsa del linguaggio. Lo psicologo Sloboda (1988, pp. 23-26) afferma che “il motivo per cui la maggior parte di noi prende parte ad attività musicali, componendo, eseguendo o semplicemente ascoltando, è dato dal fatto che la musica è capace di suscitare in noi stessi delle emozioni profonde e significative e che tali esperienze musicali possano fornire sollievo dalla monotonia, dalla noia e dalla depressione”. Se per la maggior parte di noi l’ascolto musicale costituisce solo un’ esperienza emotiva gratificante, per il paziente demente rappresenta anche uno strumento privilegiato per mantenere vivo il proprio “sè”.

Quel che è straordinario è che in questi pazienti la risposta alla musica si conserva anche quando la demenza è molto avanzata. Nietzche durante le ultime fasi della sua vita, quando la sifilide lo aveva ormai reso muto e demente, era ancora in grado di improvvisare al pianoforte.
Sembrerebbe anche che Ravel abbia composto la sua famosissima opera, il Bolero, quando ormai la sua demenza era in fase avanzata.

Durante gli ultimi anni, con l’aumento delle demenze, l’interesse per la musicoterapia come possibile terapia non farmacologica è cresciuto notevolmente. Ci si è resi conto che l’approccio musicoterapico potrebbe essere un valido supporto ad una condizione patologica per la quale ancora non c’è una cura risolutiva. Al momento attuale non esistono terapie capaci di guarire la demenza e obiettivo del trattamento farmacologico è rallentare la progressione della malattia.

La malattia

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Per demenza si intende una sindrome clinica a decorso cronico progressivo, caratterizzata da perdita della memoria a breve e lungo termine, associata a deterioramento di altre funzioni cognitive quali afasia, aprassia, agnosia, deficit del pensiero astratto o delle capacità di critica. Tra le diverse forme di demenza, la più comune è la malattia d’Alzheimer che colpisce oltre il 50% dei pazienti. A causa della sua elevata frequenza risulta la sindrome più studiata, tant’è che il termine “Alzheimer” è diventato oggi sinonimo di demenza.

Il morbo d’Alzheimer è un processo degenerativo che distrugge progressivamente e lentamente i neuroni delle aree associative della corteccia cerebrale. I sintomi dell’Alzheimer sono variabili ma è sempre presente un deficit della memoria episodica che si aggrava col tempo. Il decorso della sintomatologia ha una durata media di 8-12 anni e viene classicamente distinto in tre fasi:

  1. demenza lieve (durata media 2-4 anni): si osservano difficoltà nel richiamare e apprendere nuove informazioni; nel recuperare parole, soprattutto quelle di minore uso quotidiano; nel calcolo e nella risoluzione di problemi;
  2. demenza moderata (durata media 2-10 anni): le difficoltà riguardano la memoria degli eventi recenti mentre quella remota è preservata. Sono presenti, inoltre,declino delle abilità visuo-spaziali, nonché ridotta capacità nel ricordare i nomi delle persone e nell’organizzare e pianificare;
  3. demenza grave (durata media 3 anni): in questa fase si riscontrano notevoli deficit di attenzione, aprassia marcata e impoverimento del linguaggio fino ad una sua possibile scomparsa. 

Accanto ai sintomi cognitivi vi sono una serie di sintomi psicologici e comportamentali, i quali rendono complicata la gestione della persona malata.
I BPSD (Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia) sono quei sintomi caratterizzati da alterazioni della percezione, del contenuto del pensiero e dell’umore o del comportamento. La manifestazione dei BPSD può essere attribuita, oltre che al deterioramento cognitivo, alle caratteristiche di personalità premorbosa del paziente e all’ambiente in cui vive. La frequenza dei BPSD varia a seconda dello stadio di malattia:

  • nella prima fase sono frequenti sintomi di apatia, tendenza all’isolamento, depressione, irritabilità;
  • nella seconda fase prevalgono deliri, allucinazioni, insonnia, vagabondaggio, comportamenti sociali inadeguati, agitazione;
  • nella terza fase prevale l’agitazione sia verbale che motoria, l’insonnia, i movimenti afinalistici. 

Perchè la musicoterapia nelle demenze?

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L’attenzione per i disturbi comportamentali e psicologici è cresciuta negli ultimi anni, in quanto studi epidemiologici e clinici hanno dimostrato che questi ultimi sono la causa più frequente di istituzionalizzazione e di aumento della disabilità e inducono grandi difficoltà nella gestione del malato da parte dei caregiver. I BPSD vengono solitamente trattati con farmaci (neurolettici, sedativi, antidepressivi) i quali presentano spesso gravi effetti collaterali.
Attualmente il campo della ricerca medica è incentrato sulla malattia e non sul soggetto.
Gli studi sulle cause e sulle manifestazioni della malattia, sono volti a mettere in luce solo le cause organiche e le conseguenti modificazioni a livello cognitivo. La ricerca medica non considera affatto la vita affettiva del demente, le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue sensazioni. Questo tipo di impostazione non può di certo dare una spiegazione completa sull’esperienza del malato (Chattat, 2012, p.145). Non dobbiamo dimenticare che, oltre alla perdita delle funzioni cognitive, il paziente subisce perdite esistenziali fondamentali: gli amici, il ruolo genitoriale, la diminuzione della salute, il lavoro, la diminuzione delle energie, la sicurezza (Benenzon, 2007, p.159). É lecito suppore che i sintomi depressivi possano essere letti come una reazione conseguente ad un quadro di tale deprivazione. Tale approccio ci permette di considerare i sintomi non solo come manifestazione di una malattia per la quale al momento non esiste una cura, ma anche come risultato del tentativo del malato di mantenere relazioni con il mondo esterno.

Visti i limiti del trattamento farmacologico e vista la necessità di un approccio terapeutico golabale che consideri il paziente non solo come uno sterile portatore di sintomi, la musicoterapia rappresenta un valido supporto nella presa in carico della persona affetta da demenza. Nell’ambito della ricerca scientifica sulle demenze, numerosi studi hanno dimostrato gli effetti che la musica e la musicoterapia hanno sulla riduzione dei sintomi psicologici e comportamentali. Non a caso, il noto neurologo Sacks afferma che “il potere della musica di integrare e curare è essenziale, è il più potente farmaco non chimico” (Sacks, 1995). Lo stesso Oliver Sacks, nel libro “Musicofiilia”, descrive casi di pazienti che, pur trovandosi ad uno stato di demenza avanzato, conservano una straordinaria risposta alla musica. Ancora più straordinaria risulta la constatazione di un “apparente potenziamento delle facoltà e sensibilità musicali, proprio nel momento in cui le altre facoltà scompaiono” (Sacks, 2011, p.425). In particolare il neurologo americano evidenzia come la musica familiare risvegli emozioni e ricordi da tempo dimenticati, consentendo ai pazienti di ritrovare un mondo apparentemente perduto. Raglio sottolinea come, anche in presenza del progressivo deterioramento cognitivo causato dalla malattia d’Alzheimer e dalla demenza senile, l’elemento sonoro musicale possa rappresentare un materiale ancora fruibile, sia nei suoi aspetti di recezione che in quelli di produzione (Raglio et. al., 2001, p.85). Studi sulle emozioni hanno mostrato che i soggetti con demenza di tipo Alzheimer, nonostante il progressivo deterioramento cognitivo, mantengono una stabilità nel processamento degli stimoli emotigeni (Albert et al. cit. in Chattat, p. 144, 2005). Inoltre, osservazioni in ambito clinico suggeriscono che, anche nella fase grave, i pazienti conserverebbero la capacità di rispondere alle stimolazioni relazionali, conservando le abilità affettive nelle interazioni quotidiane. Non peraltro, numerose guide diffuse a livello mondiale sulle strategie di gestione e di approccio al malato, suggeriscono ai caregivers di utilizzare una modalità relazionale basata sulla comunicazione emotiva piuttosto che su quella verbale. Nella demenza, infatti, vi è una progressiva perdita delle qualità digitali (o verbali) della comunicazione, mentre quelle analogiche (o non verbali) rimangono intatte.

A supportare ulteriormente le osservazioni e gli studi sovracitati vi è un importante scoperta fatta in ambito delle neuroscienze cognitive: la sensazione piacevole evocata dalla musica è in grado di modulare l’attività dell’ amigdala e di altre zone sottocorticali che si pensa siano coinvolte nella ricompensa e nell’emozione (Blood e Zatorre, 2001). Questo ci fa supporre che la risposta emozionale alla musica, essendo modulata da strutture corticali integre, può essere presente anche in pazienti in cui il deterioramento cognitivo è totale. Considerato quanto sopra argomentato, non risulterà difficile comprendere i motivi per i quali la musicoterapia possa costituire un’innegabile risorsa nel trattamento dei pazienti dementi. Lo psichiatra R. Benenzon evidenzia che il paziente con Alzheimer mantiene le identità sonore (ISO) descritte nel secondo aticolo di questa rubrica.
Il paziente, durante tutte le fasi della demenza, conserva la capacità di realizzare un ritmo binario e risulta facilmente stimolabile dalle melodie infantili che appartengono alla propria infanzia (soprattutto alla relazione materna). Pertanto, in un processo di musicoterapia attiva, si aprono nuovi canali di comunicazione alternativi, primitivi ed arcaici, che permettono al paziente di esprimere emozioni ed affetti. L’aspetto fondante del lavoro musicoterapico, specie nel modello Benenzon, è quello della relazione. Gli strumenti musicali, l’elemento sonoro, il movimento, i silenzi: tutto diventa funzionale per costruire una relazione terapeutica stabile che conduca il paziente al cambiamento e al miglioramento della propria vita.

La musicoterapia attiva, utilizzando il linguaggio non-verbale e pre-verbale, è in grado di ripristinare canali di comunicazione di natura arcaica. Proprio in virtù di questa natura ancestrale, tali canali comunicativi avrebbero maggiore probabilità di essere ancora presenti nella persona con demenza grave. Al contrario, la musicoterapia recettiva, presupponendo una maggiore capacità di astrazione da parte del paziente, troverebbe un migliore utilizzo nelle demenze lievi, con pazienti che mantengano ancora un’integrità a livello cognitivo.

Nonostante l’esiguità di studi condotti con rigore metodologico, la letteratura mostra l’efficacia della musicoterapia nelle demenze, reputando la musicoterapia un valido approccio per la gestione dei BPSD e raccomandandola come strategia terapeutica non farmacologica. (Ueda et al., 2013).

A fronte di una malattia che provoca la progressiva perdita di numerose facoltà della mente, compresa quella del linguaggio, la musicoterapia, dunque, si mostra come un’innegabile risorsa in grado di dare voce alla persona, aiutandola a riattribuire significato ad un mondo che pian piano diventa sempre più sconosciuto, alienante e minaccioso.

BIBLIOGRAFIA:

  • BENENZON R. O., La parte dimenticata della personalità. Nuove tecniche per la musicoterapia, Roma, Borla, 2007.
  • BLOOD AJ, ZATORRE RJ., Intensely pleasurable responses to music correlate with activity in brain regions implicated in reward and emotion in Proceedings of the National Academy of Science 98 (20), pp. 11818-11823, 2001.
  • CENTONZE S., Musicoterapia e Alzheimer, Strumenti per il miglioramento della qualità della vita del paziente con demenza, Circolo Virtuoso, 2012
  • CHATTAT R., L’invecchiamento. Processi psicologici e strumenti di valutazione, Roma, Carocci, 2012.
  • SACKS O., Musicofilia, Milano, Adelphi, 2011.
  • SACKS O., Risvegli, Milano, Adelphi, 1995.
  • RAGLIO A. ET AL. (a cura di), Musicoterapia e malattia di Alzheimer, Proposte Applicative e Ipotesi di Ricerca, Torino, Cosmopolis, 2001.
  • UEDA T., SUZUKAMO Y., SATO M., IZUMI S., Effect of music therapy on behavioral and psycological symptoms of dementia: a sistematic review and meta-analysis, in Ageing Research Reviw 12, pp.628-641, 2013.