Vintage Italiano

Alcuni anni fa, grazie ad una inserzione su Ebay, venni in possesso di una batteria Davoli, strumento allora a me praticamente sconosciuto. Solo una volta arrivato a casa dell’ex proprietario, mi resi conto del pezzo di storia che avevo davanti. Le condizioni generali erano buone e le meccaniche tutto sommato, ancora in buono stato. Presi il tutto e me lo portai a casa, iniziando una ricerca su questa “strana” batteria italiana.
Fortuna volle che un mio caro amico “vintaggiaro” mi desse le dritte giuste per trovare l’unico catalogo di questo strumento cosi insolito. Quel catalogo riportava in modo preciso e perfetto tutte le caratteristiche dello strumento. Ma la cosa incredibile era vederlo lì, con alcune idee molto avveneristiche per l’anno di concezione, appunto il 1972.

La batteria in questione è completamente in metallo, precisamente laminato d’acciaio, cromata in un azzurro cielo molto particolare, montata tutta su un unico rack, predecessore anche questo di quelli moderni ove la cassa viene letteralmente innestata in esso. Tutti i pezzi sono inseriti in questo rack, dal charleston, il pedale, le aste dei piatti e i reggi tom. La si può muovere senza smontarla, anche se il peso non è dei più “accessibili”, perciò è meglio armarsi di pazienza e smontare almeno i tom.
Qui troviamo ancora una particolarità: i tre tom sono da 14 pollici, tutti uguali, tranne che in profondità, dove il “timpano” diventa oblungo e fornito di doppia sordina interna. Alla fine, le misure sono tutte 14″, compreso il rullante che ha un tendicordiera alquanto funzionale e preciso, che viene descritto letteralmente come il “meccanismo di stacco a camme autoregolabile, che consente una costante e precisa aderenza delle molle alla pelle e una meticolosa regolazione della tensione”, e con sordina interna progressiva.
La cassa è un classico 22 pollici, ma alla vista sembra una 24 a causa dei cerchi molto grandi ed eleganti, ed è dotata di sordine interne doppie per ogni pelle. Il tutto risulta molto pulito all’occhio a causa della mancanza dei tiranti classici, sostituiti da un sistema di cerchi-battenti in cui le viti affondano, e la loro sede sta proprio all’interno del fusto del tamburo, praticamente una chiusura a pressione. Le viti sono standard, con testa esagonale, facili da reperire in ferramenta in caso di smarrimento!
Per quanto riguarda il pedale, si tratta di un modello a molla stile baionetta che offre un buon ritorno e una discreta velocità e con un look decisamente moderno, mentre il charleston è il classico a molla semplice, dotato di un buon ritorno e soprattutto bello solido.
Le aste dei piatti sono le classiche a L, montate sul rack, che non danno questa grande possibilità di regolazione e sono forse il lato su cui la Davoli, all’epoca, non aveva guardato a fondo.

Capitolo molto interessante : IL SUONO. La didascalia del catalogo è molto interessante e cita “potente, ricco di componenti armoniche, pronto al tocco leggero, compresso al fortissimo“, mentre viene data anche una descrizione su come la Davoli abbia studiato questi fusti con particolari sistemi di rilevazione delle curve sonore e di risposta dinamica, sicuramente all’avanguardia per quella epoca. Alla prova dei fatti ne vengono fuori i limiti di un progetto interessante ma non sviluppato. La potenza c’è , ma il timbro è molto particolare, con forti armoniche a volte incontrollabili e, avendo io sostituito tutte le pelli originali con le Remo Ambassador, il decadimento del suono diventa rapido in alcune accordature e infinito in altre. La difficoltà di accordare è anche dovuta al sistema proprio delle viti interne, che non danno una sicurezza dell’esatta pressione di ogni tirante. Perciò orecchio, ma qui risulta molto arduo il lavoro!
Per la cassa ho provato varie soluzioni, compresa una Powerstroke, ma il miglior risultato lo si ottiene con una doppio strato, dove finalmente si riesce a ottenere un suono preciso e diretto grazie anche all’aiuto delle sordine appena appoggiate sulla pelle come anti-armonico.
Discorso a parte sul rullante: questo elemento sembra il più azzeccato di tutti, molto potente, preciso, ricco di tutte le frequenze e, a mio avviso, sembra che la Davoli fosse partita da qui per realizzare poi il resto dello strumento, visto l’ottimo funzionamento del tutto. Accordatura semplice, poche armoniche(!), facilità nell’uso della cordiera , possibilità di appoggiare la sordina come aiuto, tutto perfetto insomma.

E infine il discorso TRASPORTABILITA’: l’idea del rack su cui poggiasse tutto c’è anche in altri modelli italiani, sia precedenti che antecedenti a questo (vedi Hollywood Max Roach o le Hipercussion), ma il peso dei fusti in acciaio rende l’operazione “blocco unico” direi disperata. In più le dimensioni non sono certo di aiuto, a meno che non si abbia un furgone da lavoro, perché nemmeno la mia Espace ha avuto ragione della nostra! Allora il concetto viene a cadere e dimostra la sua fragilità e la sua ingenuità, anche se per la sua età, e qui mi ripeto, le soluzioni sono molto avanzate.
Comunque un pezzo di storia italiana della batteria, dove si intravedono le possibilità, le fantasie e la creatività puramente classiche del Bel Paese e che hanno fornito poi chiavi di lettura ad altre ditte straniere per ideare e sviluppare modelli più funzionali e avanzati.Una piccola curiosità, che però non ho potuto ancora confermare, è che sembra che l’unico batterista italiano a da averla usata dal vivo sia stato Micky Dei Rossi delle Orme!
Con questo vi saluto e ci vediamo alla prossima.
Ciao a tutti.

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