Un italiano al Drumtech

Giuseppe è nato a Bari l’8 agosto 1979. Si è seduto per la prima volta sullo sgabello di una batteria a sei anni. La Pearl color amaranto che suo padre, cantante e chitarrista, aveva montato in casa per suonare con il suo gruppo, è stata uno dei suoi giocattoli preferiti. Un amore a prima vista che si è presto trasformato in una grande passione.
Per essere un ragazzo di soli 29 anni, Giuseppe Grondona ha un curriculum impressionante sia dal punto di vista artistico che didattico. La sua maturità lo ha portato ad essere uno degli insegnanti più apprezzati alla DrumTech. In questa lunga chiacchierata ci parlerà della sua esperienza di didatta qui a Londra, dei suoi inizi e di molto altro ancora. Buona lettura! GiuseppeGrondona2009_home
Leonardo Rizzo: Ciao Giuseppe, partiamo dalla fine…come mai sei finito a insegnare alla DrumTech di Londra?
Giuseppe Grondona: Beh vedi, ho sempre avuto la volontà di specializzarmi all’estero, ma probabilmente la distanza che ci separa dall’America mi spaventava. Così ho subito pensato a quella che, effettivamente, è la capitale della musica in Europa: Londra. Mi informai e, dopo qualche ricerca, venni qui alla DrumTech intenzionato a frequentare il One Year Diploma, dopo già molti anni che suonavo e studiavo. All’epoca tra l’altro la DrumTech non era conosciuta come lo è adesso, ma pensai che solo per il fatto di essere situata a Londra avesse qualcosa in più rispetto a qualsiasi altra scuola. Dopo aver fatto l’audizione, mi dissero che il mio livello era troppo alto per accedere al corso a cui avevo pensato e mi proposero delle lezioni private intensive proprio con Francis Seriau (Fondatore e direttore della scuola, n.d.r.). Studiai con lui, con Mick Morena e Darryn Farrugia per 3 mesi.

LR: Quindi hai iniziato come studente alla DrumTech…
GG: Inizialmente fu proprio così. Al termine di quei 3 mesi di lezioni decisi però di ritornare in Italia per terminare la laurea specialistica al conservatorio, dove avevo già studiato per 8 anni diplomandomi in percussioni. Avevo già avuto esperienze di insegnamento alle scuole medie e volevo specializzarmi per poter continuare a insegnare proprio in Italia. Arrivai a giugno, dopo l’esperienza londinese, ma fino a gennaio dell’anno successivo rimasi fermo perché i corsi del conservatorio non si decidevano a partire. Sentivo di sprecare tempo e opportunità in quel periodo di stop forzato.

LR: Immagino sia stata dura
GG: Molto dura! Ma proprio in quei periodi mi ricordai di quanto Francis Seriau mi disse prima di partire. Era rimasto piacevolmente impressionato dalle mie qualità e mi disse che, se avessi voluto, ci sarebbe stata l’opportunità di entrare a far parte della DrumTech come docente. In realtà in quel momento pensavo solo al “posto di lavoro”, senza considerare che avrei insegnato a Londra nella scuola più importante d’Europa. Così lasciai nuovamente l’Italia…ed eccomi qui! Insegno Drum Concept e LPW per le classi del One Year Diploma e Sight Reading per il corso Master Performance (potete trovare tutte le informazioni riguardo i corsi e le materie sullo stesso sito della scuola, n.d.r.)

LR: Quali credi siano le maggiori differenze tra l’Italia e l’Inghilterra per quanto riguarda il tuo lavoro, cioè ragazzi che studiano batteria.
GG: Credo che, mediamente, la differenza maggiore si possa riscontrare nel suono e nella cultura musicale. Qui ci sono, a differenza del nostro paese, molte più possibilità di ascoltare e venire a contatto con moltissimi generi musicali. Questo influenza il modo di avvicinarsii alla musica e allo strumento. Come dico sempre nelle mie lezioni, quando si impara uno stile musicale, si sta effettivamente imparando un vero e proprio linguaggio. Così come quando si impara l’inglese bisogna ascoltare, assorbire, imparare come pronunciare le parole e poi parlare, lo stesso discorso vale per qualsiasi stile musicale. Purtroppo in Italia non c’è molta differenziazione da questo punto di vista. Si hanno molte più possibilità di ascoltare pop e rock alla televisione, alla radio, nei locali di musica dal vivo, ecc. Non si tratta solo di studiare metodi, magari inutili, rinchiudendosi ore e ore in cantina a fare esercizi; tutto questo senza l’ascolto e il desiderio di approfondire un linguaggio è inutile.

LR: Effettivamente, anche involontariamente, in Italia siamo esposti a pochi generi musicali. Questo pensi si senta nel suono degli studenti italiani?
GG: Sai gli studenti italiani sono solitamente molto preparati, ma purtroppo non sono altrettanto autentici nell’esecuzione di differenti stili musicali. Come ti dicevo prima, non ha molto senso studiare il piatto swing per ore e ore se poi non si ascolta nemmeno un cd di musica jazz. Il bagaglio culturale fatto di ascolti che un musicista fa nell’arco della sua vita si riflette poi nel suono che produce. Chiaramente se questo bagaglio è povero, anche il suono ne risente.

LR: Pensi che si possa comunque arrivare a migliorare in Italia sotto questo punto di vista?
GG: Credo che il lavoro paghi. Chiaramente mi metto nei panni di un ragazzo italiano che magari è affascinato dal New Soul , ma che poi effettivamente non ha l’opportunità di poterlo suonare live. Questo porta a uno scoraggiamento sia in termini di ascolto che di studio. Ma bisogna assolutamente perseverare, perché la preparazione culturale legata alla musica paga sempre.

LR: Anche se poi non si hanno possibilità di suonare dal vivo i generi che si studiano?
GG: Questo è un problema che ho vissuto anche io sulla mia pelle, ma dobbiamo cercare di internazionalizzarci musicalmente e non solo. Bisogna cercare di pensare ad allargare il nostro campo d’azione. Se ci pensi è una cosa normale per un medico o un ingegnere andare all’estero e trovare possibilità in più per crescere e migliorarsi…perché non dovrebbe essere così anche per un musicista? Ovviamente non dico che tutti i batteristi italiani debbano emigrare all’estero, ma credo che sia dovere di ogni musicista cercare di migliorare le cose, anche nel proprio paese.

LR: Faccio finta di non saperlo e quindi ti chiedo quali sono le cose che caratterizzano la DrumTech dal punto di vista didattico.
GG: Prima di tutto, è importante ricordare dove è situata questa scuola: a Londra. Come dicevo prima, questa è la città più importante in Europa per quello che riguarda la musica. Questa cosa influenza molto la filosofia d’insegnamento della scuola stessa. Detto questo, riconosco che il metodo “anglosassone” è più diretto verso obiettivi concreti. Non si spendono anni di preparazione sul solfeggio e i rudimenti prima che un ragazzo riesca a suonare veramente. Non fraintendermi, non sto dicendo che siano cose inutili, anzi! Ci sono passato anche io! Sono cose fondamentali, ma che molto spesso vengono anteposte al fatto di suonare e fare musica. Molti ragazzi hanno una tecnica pazzesca, sono velocissimi, hanno un’indipendenza invidiabile, ma non sanno fare musica. E con questo intendo suonare con altre persone, interagire. Qui alla DrumTech puntiamo molto su questo aspetto, fornendo tutti gli strumenti necessari per avanzare in modo autonomo e consapevole.

LR: Linea diretta con le esigenze reali insomma?
GG: Direi di si. Ma con questo non intendo dire che in Italia siamo meno preparati che qui. Non lo penso affatto. Come in tutte le cose ci sono pro e contro. Mi spiego meglio. In Italia siamo costretti a studiare e crescere come se stessimo facendo un movimento a zig zag. Manca il filo diretto di cui parlavo prima. Questo però porta, per forza di cose, a una preparazione di base molto più ampia, profonda e radicata, non solo per quello che riguarda la musica, ma in generale. Chiaramente l’investimento in termini di tempo è moltiplicato rispetto a un metodo più lineare. Il metodo della DrumTech è collaudato da oltre 25 anni di esperienza sul campo ed è praticamente lo stesso di altre scuole Americane. Conosciamo molto bene le esigenze del mercato e mettiamo l’allievo nelle condizioni di essere preparato e competitivo per le opportunità che gli capiteranno. GiuseppeGrondona2009
LR: Qual è il tuo background didattico?
GG: Io vengo da una formazione assolutamente classica. Sono diplomato al conservatorio in percussioni, ma per quello che riguarda la batteria sono passato, come molti d’altronde, dai metodi classici come lo Stick Control, Il Jim Chapin, il Dante Agostini, ecc Ho studiato poi con Cristiano Micalizzi e Maurizio dei Lazzaretti. Sono stato molto fortunato perché mio papà è un musicista. E’ stato professionista per molti anni e quindi fin da bambino ho avuto l’opportunità di ascoltare molta musica e avere accesso al suo studio dove provava con la sua band. Proprio da quello studio sono passati un sacco di musicisti di grande livello sia locali che non, come ad esempio Senese e io ho assorbito questo mondo fin da piccolo. Devo anche dire che inizialmente mi sentivo un po’ strano proprio perché mentre i miei amici ascoltavano la disco io ero affascinato da Chick Corea o Al Jarreau, ma devo dire che, a conti fatti, è stato un bene! (Risate, n.d.r.)

LR: Sei stato un bambino fortunato allora!
GG: Assolutamente si! Poi, dopo il conservatorio, sono stato orchestrale per diverso tempo, suonando con l’orchestra Petruzzelli e quella della provincia di Bari. Suonavo poi nella band di mio padre e svolgevo contemporaneamente l’attività di turnista in studio alla “Crescendo” di Bari passando dal rock, all’hip hop, al jazz. Per quello che riguarda l’hip hop devo ringraziare un mio amico, Antonio, che già nel 95 mi ha avvicinato all’ascolto di questo genere. Poco per volta ho assorbito quel linguaggio e sono venuto a contatto con gruppi molto interessanti. Mi ricordo di aver ascoltato, ad esempio, proprio in quel periodo, un album dei The Roots quando ancora nessuno li conosceva. Proprio durante un concerto con un gruppo hip hop conobbi Tormento dei Sottotono a cui piacqui e che mi volle nella sua nuova band. Con questa band, tutta pugliese, iniziai a fare tour in giro per l’Italia e mi immersi ancora di più in questo genere musicale.

LR: Insomma hai un’esperienza molto eterogenea. Ti ha aiutato nel tuo lavoro di insegnante?
GG: Certo, senza dubbio. Permettimi di dire un’ultima cosa. Come molti in Italia, ho studiato moltissimo, forse più di un ingegnere se pensi che ho iniziato da bambino e continuo tutt’ora. Il problema è che in Italia tutto questo non viene riconosciuto e vorrei dire a tutti i miei colleghi italiani di continuare a lavorare seriamente per creare cultura prima di tutto. Non si tratta solo di insegnare degli esercizi, ma di formare persone desiderose di apprendere e di ricercare.

LR: Grazie Giuseppe per la bella intervista che ci hai concesso!
GG: Grazie a voi e rimanete in contatto perché presto, proprio su Planet-Drum saranno pubblicati alcuni filmati didattici che sto realizzando con un bassista…spero proprio vi possano essere utili! Ciao!
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