Robby Pellati

La macchina rock di Luciano Ligabue

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L’incontro tra il simpaticissimo Robby Pellati e noi di Planet Drum è iniziato parlando di quello che ha caratterizzato questo concerto: l’acqua.
Dopo l’eccellente concerto e la cortese assistenza di Monica Malavasi, ci siamo incontrati con Robby ed abbiamo scambiato due chiacchiere con il motore portante di Luciano Ligabue.

Robby Pellati

La macchina rock di Luciano Ligabue

Roma 15 luglio 2002 Stadio Olimpico
L’incontro tra il simpaticissimo Robby Pellati e noi di Planet Drum è iniziato parlando di quello che ha caratterizzato questo concerto: l’acqua.
Dopo l’eccellente concerto e la cortese assistenza di Monica Malavasi, ci siamo incontrati con Robby ed abbiamo scambiato due chiacchiere con il motore portante di Luciano Ligabue.

Planet Drum– Sono molti anni che suoni con Luciano?

Robby Pellati— Sono otto anni che suono con Luciano anche se devo dire non mi è mai capitata una serata come questa… l’acqua che è venuta giù questa sera…

Planet Drum– …è stata veramente tanta

Robby Pellati— …non l’avevo mai vista.

Planet Drum– Noi però ti abbiamo pensato bello asciutto. Tu forse sei stato l’unico che si è riparato un pochino grazie alla copertura che ti hanno fatto. roby1

Robby Pellati— Io ero coperto, avevo una copertura che mi proteggeva abbastanza anche se non completamente e alla fine la cassa aveva tutte goccioline, hai presente la brina mattutina? Era tutta bella lucidina, era il lucido dell’acqua che comunque arrivava.
Ero prima sotto la doccia e dicevo con Fede che secondo me un concerto come questo in Italia sfido qualsiasi artista a farlo. Non lo fanno, si fermano, si fermano con molta meno acqua… a me il concerto di stasera è piaciuto veramente tanto, con mille problemi perché il chitarrista andava a suonare sotto l’acqua, non è così facile, hai la pedaliera piena d’acqua… però alla fine è stato veramente un bel concerto.

Robby Pellati— Io con Fede ho azzardato a dire, perché ancora non ho sentito Luciano ma sono sicuro che anche lui la pensa così, che questo dell’Olimpico sarà un concerto che ci ricorderemo non solo per l’acqua, ma perché nonostante tutto abbiamo tirato fuori una grinta… cioè ci siamo incazzati abbiam detto porca puttana chi se ne frega si va avanti anche se è arrivato il diluvio universale si va avanti lo stesso…

Planet Drum– …e la gente era con voi

Robby Pellati— Si, la gente era con noi. Nonostante oggi pomeriggio ci sono stati dei problemi perché hanno aperto i cancelli alle 19.30 e noi eravamo un po’ agitati, però la gente ha risposto bene…
Devo dire che anche la batteria ha risposto bene, stranamente l’accordatura ha tenuto nonostante l’umidità.

Planet Drum– Durante questo tour suoni una DW, tu sei endorser della DW?

Robby Pellati— Sì con Aramini che importa direttamente le DW.
Per quanto riguarda il tour, siamo alla terza data. E’ partito ufficialmente il 5-6 luglio a Milano sabato 20 siamo a Conegliano in Veneto ed andiamo avanti fino a Settembre. Però, devo dire, che gli eventi erano tre: le due date di Milano e quella di questa sera all’Olimpico. Da ora in poi sarà in discesa.

Planet Drum– Si, una discesa lunga e stressante, visto che, nonostante l’andamento degli artisti d’oggi, voi con Luciano suonate per tre ore circa, non poco…

Robby Pellati–…si, ma non sono pochi nemmeno quei 20-25 € che tu chiedi alla gente. Io non sono l’artista, sono uno strumentista della band, però a me fa sempre piacere quando Luciano dice “Mettiamo due tre pezzi in più”, preferisco che la gente dica ‘guarda ci sono due tre pezzi in più che in meno’, perché alla fine i biglietti costano. Perché un ragazzino di vent’anni che sborsa di tasca propria 25 €, che corrispondo alle vecchie 50.000 lire, è giusto che abbia e a me fa piacere dargli tre pezzi in più.

Planet Drum– è bello questo che dici

Robby Pellati— Purtroppo è diventata abitudine vedere concerti di un’ora un’ora e mezza. A me è capitato di andare a vedere un concerto di un’ora e un quarto ma non li ho mai più rivisti quegli artisti lì. Significa proprio fare la carità. Significa dire “dateci cinquantamila lire” e basta. Sono piccole rapine perché per un biglietto da cinquantamila lire o da quaranta non puoi suonare un’ora e un quarto, altrimenti devi accontentarti di ventimila lire. Oggi, purtroppo, ci sono artisti che meno suonano più pretendono il costo del biglietto.

Planet Drum-Parliamo dei tuoi progetti personali al di fuori di queste entusiasmanti esperienze con Luciano. Noi ci siamo già visti qui a Roma in un locale del centro quando hai suonato Mel Previte e Rigo Righetti, continui anche lavori paralleli e che progetti hai per il futuro.

Robby Pellati— Noi siamo concentrati solo su Luciano. Da otto anni, a parte nel ’98 una collaborazione con un disco di Bennato, io e il bassista siamo impegnati con Luciano. Diciamo che abbiamo tipo un’esclusiva, è capitato sì di fare dei lavori e lavoretti, però finché lavoro con Luciano a me piace fare una cosa ma farla bene. Non riesco ad aver la testa in tremila parti. Noi non siamo turnisti. Il turnista è quello che suona con te ma a lui non gliene frega niente, alla fine gli frega solo di farti la fatturina e dirti grazie. Ti suona il pezzo bene, al click, pulito, ma suonare con un’artista rock, suonare con un’artista pop o suonare con un’orchestra di liscio, per lui è la stessa cosa. Quello che conta per lui a fine giornata è far la fattura.
Con Luciano non è così. Luciano ha proprio noi come band perché abbiamo questa caratteristica. Non essendo dei turnisti posso dire che siamo “specializzati” nel Rock and Roll e lui sa che quando facciamo una cosa la facciamo col cuore. E se il pezzo non è finito, non stiamo lì a guardare l’orologio, quando è finito il turno si va via. No. Noi sforiamo spesso e volentieri.

 

Planet Drum-Beh, almeno nella musica il cuore ancora conta.

Robby Pellati— Certamente, anche se io qui in Italia sento molta gente che dice che suona con il cuore, ma sinceramente non riesco a capire con quale. Forse di cemento armato, comunque un cuore con una pulsazione strana.

Planet Drum-Visto che stiamo parlando di cuore. Come nasce un pezzo di Luciano Ligabue. E nella fattispecie, la parte ritmica come nasce? Tutti dicono la loro oppure ogni strumentista pensa al proprio pezzo?

Robby Pellati— Assolutamente no. Il pezzo è pensato da tutti. Luciano ci lascia molta libertà. Ripeto, non siamo turnisti che ogn’uno fa la sua parte e basta. Luciano arriva in sala con chitarra e voce fatta e dice: “Ragazzi questo è il pezzo. Vestiamolo”. Da lì si parte e si improvvisa, si va d’istinto e devo dire che spesso e volentieri sono le cose che teniamo. Sicuramente rielaborate, ma l’impronta è quella.

Planet Drum– Questo dimostra il fatto che quando un gruppo suona da tempo insieme, riesce a rendere al 100% anche solo improvvisando.

Robby Pellati— Sicuramente, non si è distratti da altri lavori da fare in contemporanea. Vedi, io sono un amante di Bruce Springsteen e quando lui suona, tutti rimangono esterrefatti, ma lui ha una band che lo segue da 25 anni e si capiscono perfettamente.
Poi sento dei concerti qui in Italia perfetti. Tecnicamente perfetti, ma vuoti. Non faccio nomi per correttezza. Sono pop band, premetto che a me piace il pop inglese e americano, ma qui sono vuoti. Quattro turnisti bravissimi italiani che suonano ogni uno per i fatti propri. Sono quattro cose che fanno fatica a stare assieme.
Vedi, non è necessario scrivere tutte le partiture, saper leggere a prima vista per forza, o essere dei mostri di tecnica. Manu Katchè è un autodidatta, io credo molto negli autodidatta, suonano con il cuore e hanno una marcia in più. L’importante è avere l’ispirazione e amare quello che si fa.

Planet Drum-Parliamo un po’ del tuo rapporto con i strumenti elettronici. Nel rock non c’è una grossa richiesta di strumentazione elettronica dal punto di vista percussionistico. Tu però, come ti poni nei confronti dell’elettronica.

Robby Pellati— E’ vero, non c’è un grosso uso di elettronica, ma quest’anno, per la prima volta, tutti i pezzi li suono con il click. Qualche cosa con il sequencer, qualcos’altro senza, ma quest’anno c’è stato questo connubio con l’elettronica. E’ come avere un direttore d’orchestra, un Muti della situazione che ti dirige e ti tiene li. Con il rischio che un pochino ti raffreddi. Comunque una volta fatta l’abitudine, riusciamo comunque a dare la nostra interpretazione.

Planet Drum–Quando hai iniziato a suonare la batteria.

Robby Pellati— Io provengo da una regione, L’Emilia Romagna, dove sin da piccolo ti portano a sentire le orchestre. Bene io ho iniziato proprio così, suonando il liscio del grande Casadei. A sei anni, suonavo sopra i veri fustini della Dixan ed i fusti dell’olio da dieci litri che, con la sua latta sottile, dava un suono che a me ricordava il rullante. Ho iniziato da autodidatta, poi ho avuto la fortuna di studiare un anno a Milano con Tullio De Piscopo, avevo 14/15 anni, che è secondo me il momento giusto. Poi a 18 anni ho iniziato a suonare con un gruppo dove c’eravamo io Mel e Rigo che, calcola, sono 16 anni che suoniamo insieme, abbiamo fatto 4 dischi, di cui due a New York quando avevamo 20 anni con personaggi molto noti, poi abbiamo iniziato nel 1994 con Luciano Ligabue, una persona che abita a 15 km da casa nostra e che la pensa esattamente come noi. Dopodichè la storia è nota!

Planet Drum-Quali sono i batteristi che ti hanno influenzato maggiormente durante la tua adolescenza.

Robby Pellati— Uno dei miei preferiti è Colaiuta. Un altro che mi piace e che ha rivoluzionato il modo di suonare il charleston sul finire degli anni 70 è Stewart Copeland, dei Police. Era uno originale, uno che iniziava un pezzo a 90 e finiva a 120. Però ha fatto la storia. Ma non ce n’è uno solo, sono molti, troppi.
Poi verso i 15 anni ascoltavo solo Springsteen; ma successivamente mi sono reso conto che non potevo ascoltare solo quel genere di musica. Ti fossilizza. Ascolto un po’ di tutto, Buddy Rich, Billy Cobham, anche Weckl, ma rimane troppo freddo.

Planet Drum– Grazie Robby, in bocca al lupo per il resto del tour, e arrivederci alla prossima.

Robby Pellati— Ciao ragazzi, grazie a voi per l’ospitalità.

Robby Pellati–Lo la qualità dello strumento è importante ma non fondamentale, il suono lo fa il musicista. Ho avuto la fortuna di conoscere Colaiuta, e ti assicuro che è di una umiltà indescrivibile. Quì in Italia invece ci sentiamo importanti anche se suoniamo con uno sconosciuto. Quì in Italia non c’è personalità, non sanno tenere un tempo, ma suonano alla perfezione il doppio pedale come Tizio o fanno le sestine come Caio, ma non si accorgono che sono solo dei cloni in brutta copia.
Io stimo moltissimo Lele Melotti perchè ha capito esattamente quale sia il ruolo del musicista batterista.

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